Il potere di autotutela della pubblica amministrazione

L’autotutela amministrativa si definisce come quell’insieme di attività con cui ogni pubblica amministrazione risolve i conflitti attuali e potenziali relativi ai suoi provvedimenti.

La pubblica amministrazione, infatti, ha a disposizione determinati mezzi amministrativi con cui può tutelarsi autonomamente.

L’autotutela amministrativa, dunque, trova il suo fondamento nel potere autoritativo o potestà che l’ordinamento riconosce ad ogni pubblica amministrazione.

Questo potere consente alla pubblica amministrazione di porre in essere atti giuridici unilaterali, tuttavia idonei a produrre effetti giuridici anche nei confronti di altri soggetti, prescindendo dal loro consenso.

La potestà, ossia potere a esercizio unilaterale, contiene in sé un elemento di dovere.

Deve infatti essere esercitata ogni qualvolta che l’interesse pubblico lo richiede.

Dunque, se sei interessato a sapere di più sull’autotutela amministrativa e come questa si manifesta su un soggetto privato, soggetto fisico o impresa, sei nel posto giusto.

In questa guida analizzeremo, infatti, le svariate forme dell’autotutela amministrativa.

1. Autotutela amministrativa: quanti tipi?

L’autotutela amministrativa si distingue, innanzitutto, in due grandi tipi: quella di tipo diretto e quella di tipo indiretto-contenzioso.

Nel primo caso, l’autotutela amministrativa comincia su iniziativa della pubblica amministrazione stessa.

Nel secondo caso, è sollecitata da terzi, dunque nasce dal ricorso di uno o più cittadini che ritengono di essere stati lesi da un provvedimento o da una decisione della pubblica amministrazione.

Cominciando ad analizzare l’autotutela amministrativa diretta, anche denominata spontanea, quest’ultima può avere tre esiti.

  • Innanzitutto, un esito eliminatorio, l’autotutela ha per effetto la rimozione di un provvedimento invalido.
  • Un esito conservativo se, a seguito di una rinnovata valutazione, il provvedimento non presenti alcun vizio ovvero quando, al contrario, il provvedimento sia riconosciuto come viziato, ma si decida per la sanatoria dello stesso.
  • Infine, un esito confermativo, se si ritiene che il provvedimento non necessiti di alcun tipo di intervento.

2. Autotutela amministrativa o spontanea

Innanzitutto, occorre da subito specificare che l’autotutela amministrativa o spontanea si estrinseca attraverso l’ausilio di provvedimenti denominati di secondo grado.

Questi provvedimenti hanno ad oggetto un precedente provvedimento amministrativo o il silenzio assenso, dunque curano l’interesse pubblico intervenendo su un provvedimento o su un fatto produttivo di effetti giuridici.

Tutti questi provvedimenti che ora analizzeremo nel dettaglio hanno un presupposto in comune.

Il potere della pubblica amministrazione, nel cui esercizio è stato emanato il precedente provvedimento o stipulato un accordo, non deve essersi esaurito .

In sostanza, il potere deve essere sopravvissuto al suo stesso esercizio.

La conseguenza è che tali provvedimenti non possono essere emanati quando, con l’emanazione del primo atto, l’amministrazione ha consumato il relativo potere.

2.1. Provvedimenti a esito eliminatorio

Nei provvedimenti a esito eliminatorio si collocano l’annullamento d’ufficio e la revoca.

L’annullamento d’ufficio

Innanzitutto, chiariamo subito che questo provvedimento comporta l’eliminazione del provvedimento illegittimo e in contrasto con l’interesse pubblico.

L’illegittimità non è, dunque, in altri termini sufficiente da sola a giustificare l’annullamento d’ufficio, ma occorre anche un interesse pubblico, concreto e attuale.

Dunque, l’atto illegittimo può essere annullato solo quando l’interesse pubblico attuale che è l’interesse specifico dell’autorità competente non si oppone a tale eliminazione.

Tale principio si rintraccia all’art. 21 nonies della Legge 241/1990.

L’interesse pubblico all’annullamento deve essere adeguatamente bilanciato e contemperato con gli altri interessi pubblici e privati comunque coinvolti dalla scelta amministrativa.

Il potere di annullamento è un potere ampiamente discrezionale.

Richiede infatti sia l’attenta valutazione dei fatti e delle circostanze in relazione al perseguimento dell’interesse pubblico, sia la considerazione degli interessi dei destinatari.

Su questa stessa linea si muove anche la Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

Infatti, per l’annullamento da parte delle istituzioni comunitarie di propri atti illegittimi, la Corte richiede anche una valutazione e una comparazione dell’interesse pubblico con gli altri interessi coinvolti.

Nonostante il potere di annullamento sia stato configurato dalla Legge 15/2005 come potere ampiamente discrezionale, occorre prendere in considerazione quanto affermato dalla Corte Costituzionale.

Infatti, tale Corte (sentenza n. 75/2000), non esclude in verità l’esistenza nel nostro ordinamento di due specie di auto-annullamento, l’uno discrezionale, l’altro vincolato, quindi l’uno generale, l’altro speciale.

L’area di operatività dell’annullamento d’ufficio coincide con quella dell’illegittimità con esclusione dei vizi di merito.

Oggetto e deccorrenza temporale

Quanto all’oggetto, qualunque tipo di provvedimento può essere annullato tranne che non si sia consumato il potere, come nel caso degli atti consultivi, di controllo o delle decisioni sui ricorsi amministrativi.

Mentre precedentemente il potere di annullamento non era soggetto a prescrizione, ma doveva essere esercitato entro un termine ragionevole, adesso si prevede un tempo non superiore a 18 mesi.

Per quanto riguarda la decorrenza temporale degli effetti dell’annullamento, è pacifico che presentino il carattere della retroattività, anche se l’art. 21 nonies non ne fa menzione.

Il potere di annullamento deve svolgersi secondo le garanzie e le forme del procedimento che aveva portato all’emanazione dell’atto annullato.

L’annullamento d’ufficio, differentemente dalla revoca, non dà luogo a indennizzo a favore del privato.

La revoca

Attraverso la revoca, l’autorità amministrativa competente, con una decisione unilaterale, elimina, ma solo per il futuro, un provvedimento i cui effetti sono considerati inopportuni perché non più adeguati alla cura dell’interesse pubblico che mirava a soddisfare.

La revoca dunque prescinde dall’esistenza di un vizio di legittimità dell’atto ed è finalizzato a garantire l’adeguatezza costante delle scelte amministrative con l’interesse pubblico.

La revoca può essere disposta dall’organo che ha emanato l’atto o da altro indicato dalla legge.

L’esercizio del potere di revoca è ammesso in tre ipotesi.

  • Per sopravvenuti motivi di pubblico interesse.
  • A causa di un mutamento della situaizone di fatto che rende il provvedimento incompatibile con l’assetto di interessi originariamente definito.
  • Per una diversa valutazione delle ragioni di pubblico interesse in base alle quali l’amministrazione aveva adottato il provvedimento.

La revoca può avere ad oggetto soltanto provvedimenti ad efficacia durevole.

Per quanto riguarda gli aspetti temporali della revoca, il legislatore del 2005 tace sul momento entro il quale può essere esercitato il potere di revoca, ma si ritiene che il potere di revoca sia esercitabile in ogni tempo con il solo limite dell’attualità dell’interesse pubblico.

La revoca, come accennato, prevede un indennizzo in funzione compensativa del pregiudizio economico subito dal privato, commisurato alla perdita subita (danno emergente) con esclusione del lucro cessante.

2.2. Provvedimenti a esito conservativo

In tale categoria rientrano gli atti che mirano al mantenimento di un precedente atto o eliminando il vizio che lo inficia senza attaccarne i contenuto o accertandone la validità.

Nella categoria rientrano la proroga, la convalida, la rettifica, e la ratifica, la conversione e la riforma.

Proroga

La proroga consente di protrarre gli effetti di un provvedimento a efficacia temporale limitata oltre il termine di durata previsto dal provvedimento stesso.

Convalida

La convalida ha ad oggetto un provvedimento illegittimo rimuovendo il vizio che lo inficia consolidandone gli effetti.

In questo modo l’atto sarà inattaccabile per il futuro.

La volontà di sanare l’atto amministrativo illegittimo deve risultare da una dichiarazione espressa della competente autorità. Non è infatti ammessa una convalida tacita.

Tra i presupposti, si richiedono le ragioni di pubblico interesse e la circoscrizione dell’esercizio entro un termine ragionevole.

La convalida può avere ad oggetto solo provvedimenti annullabili, affetti cioè da un vizio di legittimità.

Quanto ai vizi emendabili con la convalida, si menzionano il vizio di incompetenza relativa, vizi di tipo formale, carenza o insufficienza della motivazione.

La convalida deve intervenire entro un termine ragionevole.

Rettifica e ratifica

La rettifica ha ad oggetto provvedimenti non viziati, ma irregolari, dunque si eliminano errori materiali non invalidanti.

La ratifica non va confusa con il vizio di incompetenza.

Mentre quest’ultimo sana l’atto eliminando un vizio di incompetenza, con la ratifica l’autorità amministrativa competente in via ordinaria fa proprio un atto adottato da un organo non competente.

Conversione e riforma

La conversione mira alla conservazione di alcuni effetti dell’atto amministrativo.

Con la conversione, l’atto nullo o illegittimo che abbia tutti i requisiti di sostanza e di forma di un altro atto, può produrre gli effetti di questo purchè risulti che l’amministrazione lo avrebbe voluto, se avesse conosciuto l’invalidità del primo.

La riforma, invece, riforma o modifica gli effetti del precedente provvedimento.

Può avere ad oggetto atti ad efficacia continuata, di tipo programmatico come un piano regolatore, o puntuale, come un permesso di costruire.

2.3. Provvedimenti a esito confermativo

La conferma è un provvedimento a esito confermativo e si ha quando l’autorità, in seguito a una istanza di riesame di un precedente provvedimento divenuto inoppugnabile, ribadisce la precedente decisione, confermandone la validità.

In sostanza, si assiste all’apertura di un nuovo procedimento, un’ulteriore istruttoria e una nuova valutazione degli elementi di fatto e di diritto già considerati in precedenza.

La conferma ha natura discrezionale, sostituisce il precedente provvedimento ed è autonomamente impugnabile.

3. L’autotutela di tipo indiretto o contenzioso

L’autotutela decisoria può essere indiretta-contenziosa quando l’azione della pubblica amministrazione si fonda su un’istanza propulsiva del privato che prende il nome di ricorso.

Le differenze tra l’autotutela diretta e indiretta può ravvisarsi in vari aspetti.

 Per quel che concerne l’iniziativa, nell’autotutela diretta è della pubblica amministrazione, mentre nella autotutela indiretta spetta al ricorrente.

Riguardo all’interesse, nell’autotutela diretta la pubblica amministrazione agisce per un interesse proprio, mentre nella autotutela indiretta è posta in posizione di imparzialità e terzietà.

Inoltre, in riferimento alla discrezionalità, nell’autotutela diretta la pubblica amministrazione esercita un potere discrezionale in ordine alla caducazione dell’atto, mentre in  quella indiretta è vincolata ai motivi addotti dal ricorrente.

Infine, per la potestà decisoria, nell’autotutela indiretta la pubblica amministrazione conserva il potere decisorio sulla materia anche dopo il ritiro dell’atto, mentre nella autotutela indiretta, una volta presentato il ricorso, la PA ha consumato il proprio potere.

4. L’autotutela amministrativa nel diritto comunitario

In tema di rapporti di diritto comunitario ci si è chiesti se la pubblica amministrazione abbia la facoltà di mantenere in vita un atto emanato in contrasto con statuizioni comunitarie laddove l’atto emanato risulti conforme all’interesse pubblico.

Al riguardo si registrano due posizioni, una della dottrina ed una della giurisprudenza.

La dottrina ritiene che la supremazia del diritto comunitario andrebbe intesa in senso assoluto, con la conseguenza che un atto emanato in contrasto con statuizioni comunitarie non abbia ragion d’esistere, a prescindere da qualsiasi valutazione di interesse pubblico.

La giurisprudenza, invece, ritiene che il ritiro di un atto amministrativo contrastante con l’ordinamento comunitario non abbia carattere vincolato, ma discrezionale (sebbene l’orientamento non sia consolidato e si registrino posizioni divergenti in merito).

5. L’autotutela amministrativa nei beni pubblici

In merito alla tutela dei beni pubblici occorre prendere in considerazione l’art. 823 del Codice Civile il quale statuisce che spetta alla pubblica amministrazione la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Per farlo, essa può avvalersi dei mezzi ordinari posti a difesa della proprietà oppure procedere in via amministrativa (ed è qui che si identifica l’autotutela amministrativa).

A tale proposito la giurisprudenza e parte della dottrina ritengono che la norma in questione abbia portata generale e, nonostante la norma faccia riferimento ai soli beni demaniali, si ritiene che vada estesa a tutti i beni pubblici.

6. L’autotutela nell’attività contrattuale della pubblica amministrazione

In materia contrattuale si sono poste due problematiche inerenti i rapporti tra atto amministrativo ed esercizio dell’autotutela. Il primo riguarda l’incidenza dei vizi del provvedimento sul contratto. Il secondo, riguarda appunto la legittimità dell’utilizzo di poteri unilaterali della pubblica amministrazione sui vizi degli atti.

Ci si interroga sull’ammissibilità dell’esercizio di poteri autotutelativi della pubblica amministrazione.

Ciò, infatti, potrebbe costituire una violazione del principio sinallagmatico, in virtù del quale nessuno dei contraenti potrebbe incidere sul contratto unilateralmente, salvo la sussistenza di opportune ragioni.

Secondo la dottrina, dunque, è possibile distinguere tra gli atti incidenti sulla validità del contratto e gli atti che incidono sull’efficacia del contratto.

Nel primo caso, il potere di annullamento d’ufficio non sussisterebbe in capo alla pubblica amministrazione, restando però sua facoltà demandare l’esame della legittimità di uno degli atti amministrativi al giudice ordinario.

Nel secondo caso, si ritiene che non ci siano problemi ad ammettere che l’amministrazione possa esercitare poteri in funzione di autotutela, poiché questi vizi sarebbero ininfluenti sulla sorte del vincolo contrattuale.

Autotutela amministrativa: in conclusione

Come avrai potuto notare, le forme di autotutela di cui può avvalersi la pubblica amministrazione sono numerose e non è facile distinguerle, tantomeno sapersi difendere da queste.

Proprio per tale ragione, al fine di ricevere una migliore e completa consulenza sull’argomento, ti consiglio di compilare il Modulo di contatto che trovi in questa pagina.

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Come si attua l autotutela amministrativa?

Essa si attua attraverso l'emanazione di una decisione amministrativa e può riguardare anzitutto gliAtti amministrativi precedentemente posti in essere dalla pubblica amministrazione.

Quando il pubblico dipendente può esercitare il potere di autotutela?

Inoltre, l'autotutela può essere esecutiva quando si agisce in via diretta ed immediata per l'attuazione dei propri interessi a fronte di una norma specifica che attribuisca alla pubblica amministrazione il potere di agire.

Quando si può agire in autotutela?

Se l'Agenzia prende atto di aver commesso un errore può annullare il proprio operato e correggersi senza attendere la decisione di un giudice: questo potere di autocorrezione si chiama “autotutela”. La competenza ad effettuare la correzione è generalmente dello stesso Ufficio che ha emanato l'atto.

Cosa si intende per autotutela?

Autotutela significa “farsi giustizia da sé”, senza ricorrere all'intervento del giudice. L'ordinamento giuridico tende ad escludere la possibilità che i consociati possano sostituirsi al giudice ed anzi, agli artt.