Cosa prova un neonato per la mamma

Cosa prova un neonato per la mamma

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  • Dalla gioia alla diffidenza: le emozioni del bebè

Cosa prova un neonato per la mamma

Il bebè prova fin da subito alcune emozioni. E, con le prime esperienze, il suo mondo interiore si arricchisce e si riflette via via nelle espressioni del volto e nei gesti. Ecco come decodificare il suo “linguaggio”

Attivi, attenti, in grado di recepire gli stimoli e di manifestare ciò che sentono. Così sono i neonati, fin dai primi giorni di vita. Il fatto che non si esprimano ancora a parole non significa certo che non siano in grado di provare emozioni e di utilizzare un vero e proprio linguaggio, fatto di sguardi, espressioni del volto, vocalizzi e pianti. Compito del genitore è decodificare questi messaggi, mettendosi in sintonia con il proprio bambino e con le sue personalissime modalità di interazione con il mondo.

Gioia

Nei bebè di pochi giorni, il sorriso è associato soprattutto a uno stato di benessere fisico, per esempio subito dopo il pasto. “A partire dai 5-6 mesi, iniziano quelle risatine che rendono i piccoli irresistibili”, dice Marco Dondi, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Ferrara. L’espressione si apre, gli occhi si illuminano, la bocca si spalanca... In passato si diceva, con un’espressione efficace, che il bambino ‘ride con gli angeli’. “Ora si parla del cosiddetto ‘sorriso di padronanza’, dovuto al piacere di controllare l’ambiente e di essere in grado di prevedere cosa accadrà. È la fase, per esempio, in cui al bimbo piace buttare gli oggetti a terra, per vedere confermate le proprie aspettative sugli effetti, cioè la mamma che si china a raccoglierli per restituirglieli. Dietro a questo gioco c’è l’intuizione di un processo cognitivo: il rapporto causa-effetto”.

  • Cosa dicono le ricerche. A differenza dell’adulto, che trova esilarante l’effetto sorpresa, il piccolo ricava piacere dalla prevedibilità. Dalle osservazioni, emerge che uno stimolo ripetuto – il cucù o il suono di un foglio di carta che viene strappato – provoca un crescendo di ilarità.

  • Il consiglio per mamma e papà. Proponiamo gli stimoli più graditi, senza paura che un bimbo sotto i 12 mesi si annoi a ‘fare sempre gli stessi giochi’. E, quando ci accorgiamo che è in grado di ‘fare da solo’ (strappare un foglio o raggiungere un oggetto), lasciamo che compia l’operazione a modo suo.

Sorpresa

Pur essendo osservabile addirittura nel feto, l’espressione facciale che rivela questa emozione (sopracciglia sollevate ad arco e bocca aperta a O) non ha nei primi mesi di vita lo stesso significato che noi adulti le attribuiamo. “Si ritiene, infatti, che la sorpresa, come emozione vera e propria, compaia più tardi e in stretta relazione con il progressivo sviluppo delle funzioni cognitive”, spiega Marco Dondi.

  • Cosa dicono le ricerche. Se si fa ascoltare a bimbi di oltre 5 mesi una voce registrata che, all’improvviso, si deforma e diventa metallica, il cambiamento viene percepito (lo dimostra il fatto che i piccoli interrompono l’attività in corso per ascoltare meglio). Sotto i 5 mesi, invece, non si registrano reazioni. Analogamente i bambini mostrano sorpresa se un trenino giocattolo entra in un tunnel e ne esce con un colore diverso oppure se alcuni oggetti posti su un tavolo vengono spostati con calamite, senza l’uso delle mani.

  • Il consiglio per mamma e papà. La sorpresa può assumere connotazioni positive o negative per i neonati o, addirittura, contorni spaventosi. E spesso in modo imprevedibile. “Nel primo anno di vita il bambino è molto sensibile ai rumori”, dice Alice Mado Proverbio, docente di Psicobiologia e Psicologia fisiologica all’Università di Milano Bicocca.“Può divertirsi per il rumore della carta strappata, o provare un’intensa paura – con tanto di pianto a dirotto – se qualcuno starnutisce o si soffia il naso. Questo non significa che i bimbi debbano vivere nel silenzio assoluto. Ma sapere che suoni improvvisi possono suscitare queste reazioni ci permette di intervenire per tranquillizzarli. Inoltre, nel gioco i piccoli preferiscono la routine. Ed è bene che qualsiasi novità sia introdotta dalla mamma, che ha il potere di rassicurarli”.

Rabbia

Compare verso i 4 mesi e si manifesta con una postura rigida, gli occhi aperti, i muscoli tesi e un pianto violento che diminuisce progressivamente. Gli occhi, di solito, sono mezzi chiusi e la bocca aperta. “Il bambino si arrabbia quando gli viene impedito di muoversi oppure se gli viene tolto un oggetto che stava manipolando”, dice Marco Dondi.

  • Cosa dicono le ricerche. Verso gli 8 mesi la reazione di rabbia diventa più complessa e serve, per esempio, a manifestare altri sentimenti, come la gelosia. I ricercatori hanno filmato la reazione del bambino la cui mamma finge di coccolare un bambolotto: prima cerca di attirare l’attenzione su di sé e, in caso d’insuccesso, esprime con il pianto rabbia e frustrazione.

  • Il consiglio per mamma e papà. Imparare ad affrontare le piccole frustrazioni è importante, ma è fondamentale che un bambino non venga lasciato solo a elaborarle (‘Tanto poi gli passa’). Le sue emozioni vanno verbalizzate con frasi del tipo: ‘So che sei arrabbiato, ma adesso possiamo giocare (oppure fare il bagnetto o uscire), così ti calmi e ti passa’. “Questi comportamenti vanno adottati anche se il bimbo ha meno di un anno: se non capisce ancora il significato della frase, comprende però che le sue emozioni suscitano una risposta nei genitori. E impara a tollerare la rabbia perché gli vengono proposte alternative accettabili”, spiega Rosalinda Cassibba, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università di Bari.

Interesse

Occhi aperti e sguardo che segue l’oggetto della sua curiosità. “I bambini, anche di pochi giorni, interagiscono con l’ambiente”, dice Marco Dondi. “Hanno un buon udito, una vista relativamente efficiente e sono in grado di riconoscere e distinguere la madre dalle altre persone”.

  • Cosa dicono le ricerche. I neonati di pochi giorni sono attratti soprattutto dai volti umani. Mostrano di identificarli in quanto tali anche se le immagini vengono capovolte o private dei capelli. Se a un bebè di 36-48 ore di vita si mostra un’immagine per alcuni secondi e, successivamente, la si affianca con una nuova fotografia, la sua attenzione e curiosità si dirigerà su quest’ultima. A 3 mesi, i piccoli sono in grado di riconoscere il volto della madre in una fotografia, anche se ‘truccata’ (per esempio, con un pezzo mancante o divisa in tessere separate l’una dall’altra). A 6 mesi, colgono dettagli che sfuggono agli adulti: ad esempio, distinguono in foto i musi di diversi scimpanzé, i cui ‘lineamenti’ sono meno individualizzati rispetto ai visi umani.

  • Il consiglio per mamma e papà. La curiosità di un bimbo è il ‘carburante’ per il suo sviluppo psicofisico. Ma non bisogna cedere alla tentazione di iperstimolarlo, pensando di favorirlo. Anzi, la curiosità e la creatività del piccolo sono sollecitate, piuttosto che da giochi e attività ‘strutturate’, da semplici oggetti, dei quali potrà scoprire da solo le infinite potenzialità di utilizzo.

Disgusto

Fin dai primi giorni, il bimbo rifiuta una tettarella non gradita o la lascia cadere di bocca. “La tipica espressione con la lingua estroflessa è l’eredità di un riflesso fisiologico che serve a espellere la sostanza sgradita”, spiega Dondi. L’espressione del disgusto diventa più frequente nello svezzamento, quando il bambino ‘allena’ la propria percezione e impara a discernere ciò che gradisce e ciò che non gli piace.

  • Cosa dicono le ricerche. Il sapore dolce è l’unico che pare gradito in modo innato nell’uomo e che tutti i bambini trovano piacevole fin dalla vita intrauterina (come testimoniano esperimenti sul liquido amniotico). I bimbi rifiutano, invece, l’acido e l’amaro e reagiscono in modo neutro davanti al salato.

  • Il consiglio per mamma e papà. È opportuno proporre al piccolo diversi sapori, senza ‘forzarlo’ con cibi che risultano sgraditi. Anche se la predilezione per il dolce è innata, il gusto si può ‘allenare’: una molteplicità di stimoli gli permette di formare il proprio gusto, evitando l’abuso sia di zuccheri sia di sale.

Tristezza

Se è vero che nella maggior parte dei bambini il pianto comunica un disagio transitorio, è anche vero che i neonati possono, in condizioni estreme, manifestare tristezza, come testimoniano rilevazioni compiute nei primi del Novecento negli orfanotrofi. La tristezza subentra quando i bisogni del neonato vengono frustrati in modo sistematico: l’espressione di questo stato d’animo non è il pianto, che indica comunque la convinzione di poter ottenere una risposta, ma il ritiro del bambino in se stesso.

  • Cosa dicono le ricerche. “Anche in assenza di un’espressione facciale codificata, i bambini molto piccoli sono in grado di esprimere tristezza. Già neonati di 2 mesi cercano di richiamare l’attenzione della madre se questa si immobilizza e, in caso d’insuccesso, si girano dall’altra parte e restano in quella postura anche se la mamma torna a occuparsi di loro”. Ma questo sentimento non è solo autoreferenziale: i neonati di 3 giorni, se ascoltano il pianto di altri bimbi, si agitano corrugando la fronte e scoppiando a piangere a loro volta. E ancora: dagli 8 mesi il bambino capisce se la madre è triste e prova a consolarla.

  • Il consiglio per mamma e papà. Ben prima dei 9 mesi, età che in passato si riteneva coincidere con la consapevolezza della ‘permanenza dell’oggetto’, il bimbo è in grado di comprendere che, quando la mamma si allontana, non è scomparsa per sempre. E dunque può essere ‘allenato’, con delicatezza, all’attesa prima di vedere esauditi alcuni desideri. “Essere consapevoli delle percezioni e della vita psichica di un neonato non significa sentirsi in colpa se ci si allontana per pochi minuti per rispondere al telefono”, spiega Marco Dondi. “Anzi, è bene che i genitori permettano a un bambino di sperimentare, con gradualità, spazi di separazione”.

Paura

Si manifesta con il pianto (che esplode dopo un rapido crescendo di tensione) o con l’immobilità assoluta (il cosiddetto ‘freezing’). Davanti a ciò che lo spaventa, il bimbo di pochi mesi si gira dall’altra parte, per rifiutare o non vedere, anche se gli occhi restano aperti.

  • Cosa dicono le ricerche. Già verso i 4 mesi di vita, se immobilizziamo una gamba o un braccino del piccolo, subentra una reazione simile alla paura, anche se non sappiamo se si tratti di una semplice risposta fisica alla sensazione di costrizione o se il bambino sia già in grado di elaborare un’esperienza. Verso gli 8-9 mesi, poi, subentra la cosiddetta ‘angoscia per l’estraneo’: bimbi che prima ‘stavano con tutti’, ora diventano selettivi e si spaventano se lasciati soli con sconosciuti. “Si tratta di un segnale di maturazione”, spiega Rosalinda Cassibba. “Serve a comparare le esperienze e a rendersi conto che alcune di esse sono nuove”.

  • Il consiglio per mamma e papà. La paura (degli estranei, ma anche del buio o dei mostri) va accolta, e non negata o classificata sbrigativamente come capriccio. “Anzi, è proprio questo sentirsi accolto che permette al bambino di avvicinarsi gradualmente allo stimolo che lo spaventa: dormire da solo ma con una lucina accesa, fare la conoscenza di un estraneo, fidarsi della tata a cui la mamma lo lascia per qualche ora”, suggerisce l’esperta. “L’importante è non classificare questi comportamenti di ritrosia, che caratterizzano determinate fasi della crescita, come manifestazioni di ostilità”. E nella storia dell’umanità hanno avuto una funzione dal punto di vista evolutivo: tenerci alla larga da potenziali pericoli.

Diffidenza

Sguardo vigile, muscoli tesi e la ricerca del braccio della mamma a cui aggrapparsi. Così si esprime la diffidenza, che in realtà è una delle componenti della paura.

  • Cosa dicono le ricerche. Se un bimbo che gattona viene messo su una tavola dove è disegnato un finto abisso, si ferma interdetto e osserva la madre in cerca di istruzioni. Se lei lo chiama sorridendo, il bambino prosegue e lo attraversa; se invece sembra spaventata, si ferma.

  • Il consiglio per mamma e papà. La fiducia del bambino nell’ambiente in cui vive dipenderà dal comportamento dei genitori. La diffidenza si apprende per imitazione dell’adulto. Quando il piccolo si trova spaesato, guarda la mamma per capire come comportarsi. Questo può essere utile per l’inserimento all’asilo: se il bimbo percepisce che la madre si fida dell’educatrice, potrà a sua volta fidarsi.

Emozioni del bebè: come “leggere” le sue richieste

“Il fattore più importante per stabilire una relazione profonda con i propri figli sta proprio nella capacità dei genitori di leggere un segnale e di rispondere in modo adeguato”, ricorda la psicologa Rosalinda Cassibba. Un’operazione che avviene in tre momenti.

  • Osservare e ascoltare a 360°. “Significa prestare attenzione alle espressioni, ai vocalizzi, al tipo di pianto, a una certa agitazione nel corpo”, spiega l’esperta. “Alcuni genitori sono molto sensibili alle manifestazioni di disagio, ma non ‘leggono’ la voglia del bambino di interagire. Altri si focalizzano su quest’ultima, ma tendono a trascurare le emozioni negative, magari nell’intento di favorire la conquista dell’autonomia, scoraggiando il legame di dipendenza emotiva. L’ideale, invece, sarebbe riuscire a percepire sia la volontà di interagire sia eventuali segnali di malessere del bebè”.

  • Interpretare i segnali evitando gli automatismi. “Ci sono mamme che associano sempre il pianto alla fame e ‘risolvono’ offrendo il seno”, dice Rosalinda Cassibba. “Il pianto, invece, può avere diverse cause: ad esempio, perché il bebè ha freddo, sonno o soffre di una colica”. E non sempre il seno, passati i primi mesi di vita, è la risposta più ‘nutriente’ dal punto di vista psicologico.

  • Dare una risposta adeguata e allenare la capacità di attesa. “Un neonato non può ‘aspettare 2 minuti’, come un adulto”, osserva Cassibba. “La risposta al suo bisogno, al suo stato d’animo deve arrivare con prontezza”. Ma attenzione: questo non significa accontentarlo immediatamente. Intorno ai 10-12 mesi, si può cominciare a modulare e articolare la risposta. Per esempio, guidando il bambino con la voce: “Sono qui”, “Arrivo”. O ancora, se il bimbo ha fame ma la pappa non è pronta, si può iniziare a mettergli il bavaglino, guardare insieme il tegame sul fuoco. “Serve ad ‘allenare’ la capacità di attesa e, al tempo stesso, far capire al piccolo che i suoi bisogni vengono accolti. A volte, la risposta può essere un ‘no’, ma deve comunque arrivare”, avverte la psicologa.

Francesca Capelli

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Come capire se un neonato ama la mamma?

TI GUARDA NEGLI OCCHI. I neonati amano guardare i volti delle persone, e il tuo è il suo preferito. ... .
RICONOSCE IL TUO ODORE. ... .
TI SORRIDE. ... .
TI “PARLA”. ... .
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IMITA I TUOI GESTI. ... .
TI USA COME SCUDO..

Perché i neonati guardano sempre la mamma?

Questo non dipende dal comportamento materno ma fa parte del loro corredo innato. Non è il bambino che resta attaccato perché la mamma lo tiene sempre con sé, è la mamma che risponde ai segnali del bambino, al suo bisogno, prendendolo molto in braccio.

Cosa sentono i neonati quando li baci?

Attraverso il tatto, invece, la mamma può comunicare con il proprio bambino perché il piccolo comprende le carezze, gli sfioramenti, i baci, il fatto di essere tenuto tra le braccia della mamma. Questo tipo di contatto lo riporta nella sicurezza del grembo materno e per lui è sinonimo di felicità, serenità e benessere.

Quando i neonati iniziano a sentire la mancanza della mamma?

L'ansia da separazione può iniziare a circa 8 mesi di età del bambino e raggiungere il suo apice tra 14-18 mesi. Fino ai 6-8 mesi i neonati considerano la mamma e il papà come una parte di loro e non si accorgono di breve assenze.