Battiato e ti vengo a cercare significato

Matteo Fabbri 25 maggio 2022 08:47

In occasione della pubblicazione del suo ultimo libro, dedicato a Franco Battiato e intitolato “E Ti Vengo A Cercare”, ho avuto l’opportunità di fare due chiacchiere musicali col suo autore, il noto giornalista e scrittore Andrea Scanzi:

Mi ha sorpreso che tu abbia iniziato il libro dal disco “Gommalacca”, e in particolare da “Shock In My Town”, nonostante facciano parte di una fase già avanzata nella sua carriera. Effettivamente anch’io, quando penso a Battiato, tra le tante penso subito proprio a “Shock In My Town”, probabilmente perché mi folgorò in diretta quando ero poco più che un ragazzino, nel '98. Secondo me con questo disco riesce a rimettersi nuovamente in gioco a cinquantatre anni. È raro trovare carriere con picchi così alti anche a distanza di tanti anni, non trovi?
Sono d’accordo e ho iniziato il libro così proprio per questo. “Shock In My Town” non è la canzone più bella del suo repertorio, ma come forma narrativa mi piaceva iniziare con una sorta di “flash-forward”. E poi hai detto bene: nel 1998 Battiato aveva già tutto, aveva cinquantatre anni, poteva vivere di rendita, aveva vissuto dieci vite musicali. Ma nonostante questo si inventa questo disco, chiedendo e ottenendo dalla casa discografica totale libertà. E facendo un album che ebbe successo, pur non avendo singoli facili, testimoniando la sua esigenza artistica di mettersi sistematicamente in gioco, fregandosene dell’età anagrafica. E poi anche io, come te, lo associo a un mio bel periodo: questo disco mi arrivò in faccia quando facevo l’università ed era un momento bellissimo, in cui uscirono un sacco di grandi dischi, italiani e stranieri.

Una delle cose che trovo più impressionanti di Battiato è la sua velocità di scrittura e la sua prolificità: per lunghissimo tempo ha praticamente pubblicato un disco all'anno. E che dischi! Senza contare le collaborazioni e gli aiuti per altri e soprattutto altre. Tu nel libro lo sottolinei molto bene e più volte: Battiato sembrava sempre in continua ricerca di sfide e cambiamenti. La sua carriera è costellata di fasi molto diverse tra loro, spesso ravvicinate nel tempo. Come fossero tante piccole carriere.
E’ verissimo. Sono due cifre della sua carriera: la prolificità e il desiderio di cambiamento. La velocità può anche essere fraintesa: uno potrebbe pensare “Battiato faceva dischi mettendoci poco tempo e quindi li tirava via”. Non è così. Semplicemente lui era molto veloce a scrivere e quando andava a registrare il disco sapeva già così bene come avrebbero dovuto suonare i brani, da inciderli in pochissimi giorni. Aveva questa dote: era particolarmente prolifico senza perdere in qualità. Quanto al desiderio di cambiare, è la sua cifra: parte dal pop, poi diventa avanguardista, poi si avvicina alla musica col violino di Giusto Pio, si riavvicina a Gaber, poi fa il pop, poi fa la musica “mistica”, poi fa “Gommalacca”. Non ha mai fatto un disco uguale all’altro, e questo lo ha salvato perché se Battiato si fosse annoiato, non sarebbe stato Battiato.

Per la prossima domanda mi ricollego all’episodio che ho pubblicato martedì scorso, e che ho dedicato proprio a lui, ma usando un’altra chiave di lettura: ovvero trattandolo attraverso le “sue” donne (Alice, Giuni, Milva, ecc…). Nel farlo mi è balzata all’occhio una sua caratteristica poco considerata: l’estrema umiltà. In quei lavori, cioè, pur sentendosi la sua mano, non si è mai messo in primo piano. Lasciava spazio e libertà all'interprete di turno. Ovviamente si sente che sono canzoni di Battiato (penso a molte cose di Alice o ad “Alexander Platz” di Milva), ma sono comunque cucite addosso alle cantanti.
Sono d’accordo e peraltro l’ho sentita la tua puntata e mi aveva molto incuriosito e divertito perché erano spunti molto intelligenti. Io penso che questa capacità di scrivere canzoni per altri, facendo capire che sono tue ma al tempo stesso facendo molti passi indietro, sia ciò che distingue il paroliere bravo dal paroliere narciso. Soprattutto quando scrivi per le donne è ancora più difficile se sei un artista uomo. Franco nel primo quinquennio degli anni ‘80 ha regalato dei capolavori a grandi voci femminili, rendendole personali ma riuscendole a caratterizzare in maniera tale che diventassero pienamente di Alice, di Giuni Russo e di Milva. E non sono interscambiabili. Tu l’hai chiamata umiltà. Lo è sicuramente, ma è anche una forma ulteriore di talento. Io penso che, in questo senso, i più bravi tra i grandi cantautori siano stati Battiato e Fossati. 

Grazie al tuo libro ho approfondito un paio di cose che conoscevo meno. Ad esempio il suo periodo “canzonettaro” di fine anni ‘60. Ma soprattutto il rapporto stretto tra Battiato e Giorgio Gaber. In particolare di come, e quanto, la carriera di Franco sia dipesa in varie circostanze proprio dall’incontro e dalla stima reciproca tra i due. È interessante notare questo legame tra due artisti abbastanza diversi come sonorità, testi e percorsi, non trovi?
E’ vero, sono molto diversi. Se c’è una dote che ha questo libro è quella di aver sottolineato il rapporto tra Gaber e Battiato. C’è anche una motivazione personale: io adoro Gaber quanto Battiato. Con Gaber mi ci sono laureato, l’ho conosciuto, lo racconto a teatro da dodici anni e lo cito sempre anche in televisione. Battiato è stato talmente legato a Gaber al punto che quando gli domandavano qual è stata la persona che lo ha aiutato di più, lui rispondeva proprio “Gaber”. Fu Gaber, infatti, a scoprirlo a metà anni ‘60, capendo che poteva fare strada. Gaber si è dannato l’anima per aiutare Battiato: ha ottenuto il primo contratto discografico per lui, lo ha fatto diventare chitarrista della band di Ombretta Colli, che all’epoca era molto famosa, ma soprattutto fu il primo a portarlo in televisione, in RAI, dove gli consigliò anche di cambiare il nome da Francesco (vero nome di Battiato) a Franco. Insomma, non si può raccontare Battiato senza raccontare il suo connubio con Gaber.

A proposito della cosiddetta “fase pop”, quello che amo di quel periodo è la sua capacità, sì, di far ballare e canticchiare (penso alla stessa “Centro di Gravità Permanente”), ma attraverso testi in realtà importanti e ricchi di significato, quasi in antitesi coi colori e la spensieratezza del suono. Spesso noto un certo snobismo verso il pop, come a dire “ma sì, è pop, è una musichetta, che messaggio potrà avere?”. E invece vari artisti hanno dimostrato l'esatto contrario: Battiato in primis, e forse più di tutti.
Battiato è stato probabilmente il primo che ha elevato la cosiddetta “canzonetta”. E’ vero che lui ha successo con canzoni che a volte sono dichiaratamente orecchiabili. Poi ci si può anche fermare alla superficie: si canticchia, si fa il balletto come lui nei video e si ride. E va benissimo perché essere radiofonici, con gusto, è un bel talento. Però Battiato non fa soltanto questo: in ogni sua canzone c’è una densità comunicativa e di contenuti spaventosa. C’è sempre un rimando continuo alla metafisica, alla spiritualità, alla filosofia. E anche quelle strofe che sembrano buttate là a casaccio, non lo sono. Quando parla di “Gesuiti euclidei vestiti come dei bonzi per entrare a corte degli imperatori della dinastia dei Ming”, non sta inventando. Sta parlando di un fatto vero. Sembra tutto lontano, alieno, buffo e folle. Ma Battiato aveva questa enorme capacità di unire l’alto e il basso, come pochi altri. Però in pochi lo hanno fatto così bene ed efficacemente come il Battiato che va dal 1979 al 1985.

Tornando strettamente al tuo libro e a come lo hai concepito, il pregio maggiore che ho trovato è stata l’agilità nella lettura. Scorre molto bene soprattutto perché non ti perdi in voli pindarici per allungare il brodo. E’ una sorta di Bignami, ma con l’aggiunta della componente personale che tu ci hai messo e che lo rende più intimo e meno meccanico. Secondo me non è mai facile scrivere di musica e riuscire a renderla a parole. Non potendo ovviamente farla ascoltare, ho visto che hai puntato molto sui testi: in ogni capitoletto ce n'è almeno uno, spesso più di uno.
Beh, hai riassunto molto bene il libro e ti ringrazio. Scrivere di musica è difficilissimo: come diceva Frank Zappa “scrivere di musica è come ballare di architettura”. E Zappa, peraltro, era uno dei più grandi estimatori del primissimo Battiato. Sono molto contento quando mi dicono che i miei libri sono scorrevoli. Io ho molti colleghi, giornalisti e scrittori, che adorano essere pesanti perché vogliono far vedere quante cose sanno, quanto sono intellettuali, quanto sono tromboni. Io no. Io credo che la nostra vita sia così frenetica che se uno ha l’umiltà e la generosità di comprare un mio libro, bisogna che io in cambio non gli rubi del tempo. E quindi cerco sempre di essere scorrevole, piacevole, garbato e a tratti divertente. Nel caso di Battiato è venuto più facile perché di lui so praticamente tutto dato che è un mio grande amore. Ed è vero: mi sono appoggiato spesso ai testi, un po’ perché aiutano a comprendere meglio Battiato, ma un po’ anche perché ci sono dei testi così belli che io stesso godevo nel pubblicarli.

Ci avviamo verso la conclusione e per farlo mi ricollego a un bellissimo aneddoto che ti riguarda e che racconti nel libro. Aneddoto che denota l'estrema intelligenza di Franco, oltre che l’umiltà di cui parlavamo poc’anzi. Ovvero, in questa epoca in cui è tutto un “tifo da stadio” e in cui alla prima cosa brutta che dici di qualcuno, allora diventi un nemico, nonostante una tua critica, lui ti disse che ti stimava e che ti seguiva. Deve essere stata una sensazione bellissima.
E’ stata bellissima però purtroppo non fu lui a dirmelo, bensì il fratello. Per farla breve, succede che Battiato si mette anche a fare il regista: il primo film è molto bello, il secondo meno (“Musikanten”, dedicato a Beethoven). Io lo scrivo, faccio una recensione per “La Stampa”. Questa recensione mi esce un po’ perfida, ma soprattutto il titolista ci mette il carico e fa un titolo veramente sgradevole e sbagliato. Battiato si arrabbia a morte, me lo dicono e a quel punto io mi sono sentito così in colpa che non ho avuto più il coraggio di parlare di lui. Successivamente passo al “Fatto Quotidiano”. Battiato era molto amico di Marco Travaglio, scriveva a volte anche per il “Fatto”, lo leggeva, era vicino a certe battaglie. Scopro, purtroppo tardi, che lui mi guardava sempre il televisione, mi leggeva e mi stimava tanto. Purtroppo non l’ho saputo. L’ho scoperto solo durante il lockdown quando in una mia diretta presi le difese di Battiato contro la polemica di Michela Murgia. Questa mia difesa fece sì che il fratello di Franco mi scrisse un’email in privato, che mi fece commuovere, il cui succo era “grazie per aver difeso mio fratello, purtroppo non ci sarà più occasione di incontrarsi perché Lei sa come sta mio fratello, ma Le posso dire che la stimava tanto”. E quindi lì c’è stata la gioia di sapere che ero stimato da un gigante simile, ma anche il dolore per non averlo mai incontrato. E’ un rimpianto e anche per questo ho scritto questo libro e lo spettacolo come atto d’amore nei confronti di un gigante. L’unica volta che l’ho incontrato, Franco non c’era più: mi hanno fatto visitare la cappella di famiglia a Riposto. E’ stata una grande emozione.

Che dire, siamo giunti alla conclusione. Invito chiunque stia leggendo ad acquistare “E Ti Vengo A Cercare”. Credo davvero sia un libro per tutti: sia per i fan sfegatati di Franco, che si ritroveranno nella testimonianza di un appassionato come loro, sia per chi magari vuole approfondire altre fasi di questo genio. E’ stata una lettura che ho apprezzato perché non ti perdi in troppi tecnicismi e sei riuscito a facilitare argomenti meno immediati come la spiritualità, ecc…
Ti ringrazio molto, il desiderio era proprio quello: scrivere un libro pieno di amore, passione e competenza, però che fosse facilmente fruibile.

A questo link è possibile ascoltare l'episodio del podcast.

Che significato ha la cura di Battiato?

La Cura è infatti una dichiarazione di intenti nei riguardi dell'essere umano: “Ti proteggerò dalle paure delle ipocondrie / Dai turbamenti che da oggi incontrerai per la tua via / Dalle ingiustizie e dagli inganni del tuo tempo / Dai fallimenti che per tua natura normalmente attirerai".

Cosa pensava Battiato sull'amore?

L'amore come cura La proteggerà dalle “paure delle ipocondrie“, dagli ostacoli della vita, dalle ingiustizie, dalle cadute e dalle ossessioni. Si prenderà cura di lei, aiutandola a fronteggiare i pericoli che vengono dall'esterno e le inquietudini che vengono invece dall'interno, più pericolose delle armi.

Cosa significa l'ombra della luce?

Il brano è ispirato dal “libro tibetano dei morti”, un testo focalizzato sulle esperienze dopo la vita, in particolare nell'intervallo di tempo che secondo la cultura buddhista sta tra la morte e la rinascita.

Cosa vuol dire l'era del cinghiale bianco?

L'era del cinghiale bianco è un riferimento che ci riporta alla cultura celtica, indicando un periodo remoto di splendore della stessa, come una sorta di età dell'oro perduta e comune a molte culture.

Chi ha scritto il testo di E ti vengo a cercare?

Franco BattiatoE ti vengo a cercare / Parolierenull