E uscimmo a riveder le stelle significato

Inauguriamo l'anno di Dante con le riflessioni di un gruppo di studenti intorno al verso di Dante più emblematico del periodo che stiamo vivendo. E' solo l'inizio di una pagina dedicata al Sommo Poeta nel blog letterario d'Istituto che, ci auguriamo, si arricchisca del contributo di tanti in questo 2021

“E quindi uscimmo a riveder le stelle” è uno dei versi più famosi della letteratura italiana.

Il termine più corretto che mi viene in mente riguardo a questa frase è: “evocativa”. Un ipotetico lettore della Divina Commedia arrivato a questo punto rivive mentalmente il travagliato viaggio di Dante dagli Inferi al Purgatorio, ripercorrendo i momenti salienti come in un time-laps.

 La bellezza di questo frammento scaturisce dalla sua funzione di collante in un contesto atipico: in un solo verso viene chiusa a chiave la porta della stanza dove l’opera è vissuta fino a quel momento, e se ne apre una nuova. Vengono lasciati alle spalle il dolore e il senso di oppressione che si percepivano a pelle durante l’Inferno per uscirne uscirne del tutto nuovi, arricchiti dal percorso.  Le stelle di cui si parla poi, possono avere più interpretazioni. Potrebbero rappresentare l’oggettiva piccolezza dell’uomo rispetto a tutto quello che esiste all’infuori del suo mondo. Si potrebbe dare loro il significato delle cose che gli uomini chiamano “certezze”, che saranno per loro sempre un faro luminoso quando il mare è in tempesta, la scelta di un'interpretazione piuttosto che di un’altra è assolutamente arbitraria.

Per come la vedo io, le stelle fungono da metonimìa per indicare l’infinito. Da sempre l’uomo ha cercato di lasciare sulla terra un’impronta eterna del suo passaggio. L’infinito è sempre stata un’ossessione umana, e la causa di questa attrazione morbosa è la sua natura mistica e trascendentale rispetto al resto. La magia di e quindi uscimmo a riveder le stelle a mio parere sta in questo. In un solo verso Dante riesce, dopo un’intera cantica basata sulla crisi esistenziale di un uomo, ad avvicinarsi spaventosamente all’infinito cielo stellato di cui lui stesso parlava, tramite un’unica immagine.

Tutto ciò in noi esseri umani fa scattare qualcosa dentro, come un lupo che ode l’ululato del capobranco. Questo verso ci ricorda che, al di là di qualunque situazione più o meno momentanea, qualcosa durerà per sempre. fg 4blsa


Una stella è un corpo celeste che brilla di luce propria.  Ciò che oggi giorno appare a molti sotto uno sguardo puramente scientifico, è stato studiato per secoli da astronomi, filosofi e sacerdoti il cui solo obiettivo era quello di capire le leggi che regolano il nostro universo. 

Sumeri, egizi, greci ed arabi, fra tanti altri, misero le basi di una scintillante cultura delle stelle. Le stelle, mute testimoni di luce che solo distrattamente osserviamo nel cielo notturno, segni che si muovono lenti e regolari sopra di noi e che avrebbero molto da dirci se solo avessimo tempo e voglia di ascoltarli, caratteri sulla pagina del libro della natura che leggiamo sempre più con fatica, lentamente si eclissano dalle nostre città, soffocati dai fumi delle fabbriche, annegati dalla luce artificiale delle strade ed esclusi dagli orizzonti di cemento in continua ascesa. 

Il tempo non si misura più con il movimento degli astri; scompare l’alternarsi del giorno e della notte; le stelle sono osservate per lo più avvalendosi di strumenti che le mediano e le alterano.  Con il progressivo allontanamento delle stelle dal quotidiano si perdono l’intimo rapporto tra uomo e natura e la vera cognizione del tempo; tutto ciò mentre la nostra esistenza si svolge frenetica e sempre più accelerata, secondo le regole del consumismo e secondo l’esclusiva attenzione nutrita da molti per le cose terrene. Il dialogo tra cielo e terra diviene arduo e intermittente, rischiando di interrompersi. Questi nuovi fenomeni, che hanno regalato all’uomo grandi benefici, hanno contemporaneamente causato la scomparsa di suoi preziosi e antichissimi compagni di strada: la luce naturale, il cielo, il silenzio, i ritmi stagionali e il firmamento.

Una delle funzioni fondamentali di questi elementi era fungere da guida, in senso sia spirituale sia materiale. Le luci delle stelle, per quanto flebili e lontane, hanno sempre aiutato l’uomo ad orientarsi; durante gli spostamenti, quando desiderava conoscere con esattezza il luogo dove si trovava e da che parte doveva rivolgersi per compiere i riti. I naviganti, i più grandi viaggiatori dell’antichità, utilizzarono le posizioni delle stelle nel cielo notturno per rendere meno insicuri i loro spostamenti.

Ma avevano necessità di orientarsi anche i costruttori di edifici sacri che,seguendo i dettami della religione, dovevano progettare le loro opere rispecchiando la struttura del cielo e dovevano collocare i templi secondo il sorgere e il tramontare dei grandi luminari e delle stelle.

Due motivi diversi per orientarsi sulla terra ma un solo punto di riferimento per farlo: il cielo. Nella Divina Commedia di Dante le stelle compaiono spesso, più precisamente alla fine delle tre cantiche.

Esse sono simbolo della meta di Dante Alighieri; rimandano al colle alto e luminoso da cui si è allontanato una volta incontrate le tre fiere. Ma le stelle nella Divina Commedia non fungono solamente da immagine della natura che viene sempre più celata dai vizi dell’umanità.

Le concezioni medievali di Dante sulla forma dell’universo sembrano agli astronomi contemporanei sorprendentemente preveggenti.  Infatti, alcuni matematici e astrofisici, hanno sostenuto che la concezione dello spazio della Commedia sia abbordabile solo con il sostegno teorico della relatività einsteiniana e della geometria non-euclidea.  L’opera finisce inaspettatamente per trovarsi avanti rispetto alla scienza dell'inizio 1900 (i crateri lunari, l’ipersfera…). Eppure Dante ragiona da un mythos diverso dal nostro e le sue preveggenze gli vengono da una visione mistica dell’esistente.  Il mistero divino diventa insieme imprendibile sfera e centro concentrico della realtà, contenente e contenuto, trascendente e immanente.

L’ardore di Dante è stato quello di provare a tenere insieme diverse dimensioni della realtà, misteriosa, umana e materiale , con tutti i saperi che aveva a disposizione, anche se scientificamente limitati.  E quello che ci viene chiesto oggigiorno è proprio mantenere viva e prolungare la tensione dantesca, aggiornandola all’altezza dei tempi. Un verso del paradiso della divina commedia, divenuto poi un proverbio è poca favilla gran fiamma seconda, con cui si esprime l'invito a valutare tutto lo spettro delle conseguenze delle proprie azioni perché anche un piccolo gesto può provocare immensi danni. E’ un "proverbio" a tutti noto, indipendentemente dalla lettura dell’opera, ma a causa della pandemia in cui stiamo vivendo, sembra aver amplificato il suo valore.

Possiamo dire di essere stati immersi anche noi in una realtà mistica e surreale dalla quale non possiamo fuggire a nostro volere. E’ necessario compiere un viaggio tenendo sempre ben a mente ciò che abbiamo lasciato e ciò che desideriamo raggiungere. La divina Commedia racconta che cosa accade dopo la morte ed è uno straordinario elogio del libero arbitrio e della piena responsabilità dell’uomo nella determinazione del proprio destino.  E’ un’opera scritta per cambiare la vita degli uomini.

Come viene detto in maniera molto chiara da Dante infatti, il fine del poema è togliere i viventi dallo stato di infelicità in questa vita e di guidarli alla felicità. E, forse, questo poema potrebbe diventare un punto in più necessario da aggiungere alla lista stilata in questo periodo in cui ci siamo promessi di prendere in mano la situazione in modo da poter vivere a pieno il futuro, nella nostra migliore forma.

Lucia Cosenza 4blsa


Dante è sempre stato un luminoso punto di riferimento per tutti i lettori che navigano nell’oceano della letteratura e si lasciano alle spalle i propri confini alla ricerca di una nuova prospettiva nei confronti dell’esistenza. Egli è una stella tanto luminosa e riconoscibile quanto distante, che ha già guidato molti altri grandi navigatori prima di noi e ha messo in difficoltà persino i più rinomati astronomi nel cercare di interpretare i suoi moti e andamenti. Eppure ancora oggi i versi di Dante riescono ad incantare: un bambino che alza gli occhi al cielo in una chiara notte d’estate, un esperto capitano pronto ad imbarcarsi in una nuova impresa, gli uomini non smetteranno mai di provare quel fascino verso il lontano e luminoso astro, con la speranza che, un giorno, si possa essere i primi a toccarlo con mano.

In questi mesi di incertezza passati col fiato sospeso, ci siamo sempre di più aggrappati al bagliore che si intravede in fondo al buio, consapevoli che, una volta fuori, avremo appena il tempo per prendere fiato prima di intraprendere una nuova scalata. Tempi duri temprano anche l’uomo più incerto, e siamo consapevoli che non bisogna gioire troppo presto, ma sotto sotto già contempliamo come sarà giungere sulla vetta eterea e tornare ad una vita normale. Eppure non dobbiamo dimenticare qual è la nostra vera meta, alzare di nuovo gli occhi alle stelle e comprendere che la purificazione nel fiume paradisiaco è solo un rito di passaggio, che chiuderà un capitolo inquietante quanto importante della nostra vita, l’alba di un nuovo giorno in cui tenteremo di nuovo di raggiungere quel lontano astro.

Il percorso che compie Dante non è solo una via per espiare i propri peccati, ma un vero e proprio meccanismo di rinascita che, per molti aspetti, è affine a quello che stiamo vivendo oggi. Ecco dunque la discesa verso il centro della terra, che da millenni è stato interpretato come il regno dei morti; poi la risalita nel fango, affine alla maggior parte dei miti della creazione secondo cui l’uomo è stato plasmato dall’argilla; infine il raggiungimento delle stelle, relitti di antiche divinità che un tempo rappresentavano un confine (che ora abbiamo abbattuto), un po’ come fece il vecchio Ulisse con le colonne d’Ercole. E se c’è una cosa che vale la pena di ascoltare da un dannato dei più bassi gironi dell’inferno come Ulisse, è che quello che si può perdere oltrepassando i margini stabiliti è la nostra ignoranza, e che l’uomo non è fatto per perdersi in una selva oscura senza trovare mai una soluzione, o per comandare i fedeli dall’alto del proprio trono fatto di denaro, o ancora per lamentarsi e rimpiangere i vecchi tempi di pace, o indugiare di fronte ad un vaccino: l’uomo è fatto per soddisfare la propria sete di conoscenza.

Umberto Pagliari 4blsa


Chi pronuncia e quindi uscimmo a riveder le stelle?

Infatti Dante conclude il suo percorso all'Inferno con Virgilio dicendo: E quindi uscimmo a riveder le stelle[1].

Che cosa sono le stelle per Dante?

Le stelle in Dante sono un punto di riferimento. Tutte e tre le Cantiche si concludono con la parola 'stelle': per l'Inferno “E quindi uscimmo a riveder le stelle”, per il Purgatorio “puro e disposto a salire le stelle” e per il Paradiso “l'amor che move il sole e l'altre stelle”.

Che cosa rappresentano le stelle con cui Dante chiude il canto?

Dopo aver faticosamente attraversato la natural burella che collega l'Inferno alla spiaggia dell'Antipurgatorio, Dante e Virgilio alla fine contemplano lo stellato cielo notturno dell'altro emisfero: è un presagio del nuovo cammino di luce e di speranza dopo le tenebre precedenti, "come pura felicità dello sguardo".

Qual è l'ultimo verso dell'Inferno?

Si tratta del verso finale dell'Inferno, l'ultimo e famosissimo del XXXIV canto, il numero 139 per la precisione: “E quindi uscimmo a riveder le stelle”. È l'ultimo endecasillabo dell'Inferno della Divina Commedia di Dante Alighieri.